Mario Recchia

Intervista ad uno dei più noti tra i meccanici e piloti storici Ducati

Mario, quando ha iniziato a lavorare in Ducati?

Ho iniziato nel marzo del '46. Facevo il meccanico, il manutentore dei mezzi.

Quanti anni aveva quando è venuto a Bologna?

Avevo vent'anni. Stavano ancora rimettendo a posto la fabbrica.

Quale è stato il suo primo lavoro in Ducati a Bologna?

Facevo i Cuccioli; ho lavorato a dieci "Cucciolini". Poi la scuderia ha cominciato a correre.

Quindi lei era al reparto campioni del Cucciolo.

Sì, alla preserie.

Quando ha iniziato a correre?

Sarà stato nel '47, con il Cucciolo, sulla via Emilia. E ho vinto la corsa.

Lei in seguito è diventato campione emiliano.

Sì, nel 1951. Allora la Ducati non sapeva neppure cosa fossero le corse; hanno cominciato bene quando è arrivato Taglioni. Poi è arrivato Farné, circa nel 1952, e io lo chiamavo "topolino" perché assomigliava un po' a un topo.

Lei, con la Ducati, ha corso anche con la Marianna nel Motogiro del '55, '56 e '57.

Io avevo il mio motore, era veloce e ci facevo quello che volevo. Ma quando correva Tartarini avevo l'ordine di aspettarlo e, se si fermava, lo aiutavo. Ma una volta è finito in un fosso, e non potevo certo andargli dietro. E in un'altra occasione l'ho "tirato" fino a Trieste.

Lei si faceva il motore da solo. Ogni pilota gestiva la propria macchina?

No, non tutti. Io mi facevo i miei e sistemavo anche quelli di altri, come Spaggiari, Villa e Gandolfi.

Gandolfi, poverino, era un gran corridore ma rompeva i motori. Allora dovevo farli più sicuri.

Si considerava un pilota a tutti gli effetti?

Non tanto, perché facevo passare avanti gli altri.

Insomma un gregario, per usare un termine ciclistico.

Sì, però una volta mi hanno lasciato libero nella tappa da Bolzano a Verbania e l'ho vinta, perché la conoscevo: ci provavo i motori. Ma la mia esperienza vera è quella di motorista.

Lei ha lavorato per il Siluro e per la moto di Hailwood all'Isola di Man.

Mike HailwoodTM era un corridore come pochi altri. Era sempre contento, diceva sempre "Ok, ok" a tutto. Aveva un carattere molto modesto. E vinceva.

Lei, in Ducati, in quali reparti ha lavorato?

Reparto corse, reparto esperienze e poi per sei anni, all'automobile, quando si facevano le Triumph. Alla fine mi hanno fatto caporeparto, dove si montavano i motori sui telai.

Come erano i rapporti con Taglioni?

Una bravissima persona, ma a volte gli si chiedeva qualche soldino in più, perché i fondi non bastavano. Mi riferisco al periodo tra il ‘65 e il ‘70.

Ora lei collabora con la NCR.

Sì, ma lo faccio soprattutto per passione. Adesso per fortuna ho la mia pensione e i miei figli che mi aiutano, per cui non lavoro per necessità: vado là per aiutarli, perché mi è rimasta la Ducati nel cuore.

Che ricordo ha di Farné?

Il "topo" aveva una messa a punto che era la fine del mondo. Io gli davo il materiale e lui ci faceva quello che voleva, aveva l'orecchio giusto per la carburazione.

Ci racconti la storia del Cruiser, perché molti non sanno i problemi che ha comportato.

C'eravamo io e Pedrini, il progettista del motore. Hanno voluto metterci il cambio automatico e si mangiava tutti i cavalli del motore. Non andava proprio. Io ho proposto il cambio meccanico, ma mi dissero che non si poteva. E il Cruiser non andava. Quando facevamo le prove a Torino lo lasciavo indietro con la Lambretta; non arrivava mai. Io dicevo: "non va ancora bene, bisogna lavorarci". Era una bellissima moto, avviamento automatico, le frecce, ma non andava, il cambio era un problema. Alla fine il fallimento del Cruiser portò a 920 licenziamenti. Fu una scelta aziendale sfortunata. Ma la Ducati è andata avanti.

In Ducati ci si ricorda ancora di quando lei correva col Cucciolo e le è saltato un cuscinetto.

Ero sulla Milano-Taranto, ho fatto rifornimento a Firenze e ho comperato anche un po' di frutta per mangiare qualcosa sul tragitto. A Siena si è rotto il motore, io appoggio il Cucciolo su un paracarro e cambio la spina; ma i rullini che montavo si erano dilatati per il caldo. Io non avevo il grasso, così al posto del grasso ci ho spalmato una banana. E sono arrivato in fondo.

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