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Scopri di piùArchitetto per formazione e fotografo per vocazione, da cinque anni Giovanni De Sandre è la firma d’autore dietro agli scatti che ritraggono tutti i nuovi modelli lanciati da Borgo Panigale. È la persona che vede le nuove Ducati prima di tutti gli altri, e attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, le interpreta e determina il modo in cui verranno mostrate al mondo intero.
Giovanni, da dove nasce la tua passione per la fotografia?
Io credo che mi sia sempre piaciuto esercitare il mio sguardo. Ricordo che da bambino mi descrivevano come un grande osservatore, passavo ore ad analizzare gli oggetti che mi capitavano sottomano e gli ambienti in cui mi trovavo. Quando ho avuto la possibilità di maneggiare uno strumento capace di registrare quello che vedevo, non me ne sono più separato.
E il passaggio da passione a professione com’è avvenuto?
Grazie a una scoperta che feci mentre scrivevo la mia tesi di laurea in architettura. Confrontando le foto delle opere realizzate dai miei docenti mi resi conto di quanto fosse grande il potenziale interpretativo di un fotografo. Un’immagine è il sistema più efficace per trasmettere messaggi, perché usa un linguaggio che non necessita di traduzioni. Ma le scelte di un fotografo, dall’inclusione, esclusione o enfatizzazione di particolari elementi ai ritagli finali, sono determinanti.
Come fotografo ami dedicarti a soggetti molto diversi tra loro: fotografie di prodotto, ritratti, naturalistiche. Qual è l’elemento comune?
Quello stesso stupore che mi spingeva a osservare tutto quando ero bambino. Il piacere di ritrovarsi così spesso di fronte alla bellezza e il desiderio invincibile di registrarla nel modo più efficace possibile. Anche in questi tempi difficili continuano ad arrivarcene ostinati segnali: dalla natura, nella forma delle piccole presenze del nostro quotidiano come piante, semi, fiori, frutti (ritratte da Giovanni nel suo ultimo libro Naturalis Fons, ndr); nelle persone, che esprimono bellezza autentica in quell’istante preciso di empatia che si innesca durante un ritratto; nell’operosità dell’uomo, che grazie alla scienza, all’arte e alla tecnologia ci permette di migliorare le nostre vite.
Cosa significa rappresentare una motocicletta?
Una moto è una forma solida molto articolata, le cui superfici, alternativamente lucide e opache, reagiscono alla luce in modo sempre diverso e sorprendente, riflettendo bagliori ad angolature impensate, od assorbendo completamente la luce. Restituire la bellezza delle linee, l’armonia dei riflessi, e il design della moto nella sua forma migliore, richiede un lavoro particolarmente complesso e molto artigianale, fatto di luci che si spostano continuamente, riflessi da controllare, e allineamenti da ritrovare costantemente. In poche parole: una grande complessità operativa che deve restituire l’anima della moto per come è stata disegnata.
E cosa significa ritrarre una Ducati?
Ducati esprime l’eccellenza italiana delle due ruote, ed è fondamentale che l’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti sia perfettamente in grado di esprimere questo valore. Nel buio della sala di posa la morfologia di ogni bagliore e la profondità di ogni ombra sono il risultato ponderato di decisioni precise. Un fotografo “scrive” con la luce e interpreta il soggetto come un cantante farebbe con un proprio brano. Solo che la canzone non è mia, ma degli ingegneri e designer Ducati: la mia esecuzione non solo deve piacere al pubblico ed essere allineata con il timbro del marchio, ma anche trasferire anni di lavoro e di ricerca. Fortunatamente per me, in Ducati c’è una grande consapevolezza sulla componente autoriale della fotografia, quindi ho la possibilità di svolgere il mio lavoro in un clima di serenità e grande fiducia reciproca.
Come si conciliano il rispetto del marchio Ducati e i tanti mondi associati ai diversi modelli?
Interpretando questi soggetti in modo personalizzato, ma sempre all’interno delle linee guida distintive del marchio. Sicuramente una Superleggera invita ad angolature più aggressive, mentre una Multistrada con la sua imponenza suggerisce inquadrature razionali e quasi automobilistiche, ma il cosiddetto Look&Feel, quella sensazione di poter toccare il veicolo e riconoscerne materiali e finiture, deve rimanere lo stesso.
Come iniziò la tua storia professionale con Ducati?
In punta di piedi. Ricordo che la prima volta che misi piede a Borgo Panigale portai con me una valigia piena di libri e pubblicazioni che pensavo potessero interessare, ma ad ogni mia proposta, anche le più stravaganti ed originali, mi sentivo rispondere che era già stata fatta in un anno o in quell’altro. Me ne andai allargando le braccia ma con un sorriso: “Ci siamo conosciuti, e se volete io ci sarò sempre”. Di lì a poco venni chiamato per il World Ducati Week. Ero insieme ad altri tre fotografi, ciascuno con obiettivi specifici di copertura dell’evento: era la prima volta che trovavo un’azienda così rispettosa del nostro lavoro da scegliere interpreti diversi all’interno di una stessa situazione: intelligente, efficace, gratificante, davvero bello.
E oggi in Ducati sei praticamente di casa. Come si è evoluto questo rapporto nel tempo? Qualche momento che ti piace ricordare?
Questa per me è davvero una grande soddisfazione, perché ottenere la fiducia da parte di un’azienda così importante è stata una conquista lenta e progressiva, che sentiamo anche oggi di dover rinnovare ad ogni nuova occasione. Momenti significativi ce ne sono stati tanti. Subito dopo il WDW, facemmo lo shooting di un pilota MotoGP, l’indimenticato Nicky Hayden, con 20 cambi e 9 location diversi in meno di due ore. Un’impresa davvero complessa, e decisiva, perché mise alla prova con successo il nostro approccio organizzativo e creativo. Poi vennero molti servizi di abbigliamento, accessori, lifestyle con le moto e altri WDW, ma il passo successivo, e forse decisivo, fu lo shooting delle componenti di motore, ritratti in studio come se fossero gioielli. Quel lavoro venne apprezzato molto, e mi valse l’assegnazione del lavoro più bello di sempre: fotografare tutti i più importanti modelli storici per il volume monografico “Stile Ducati”. Ricordo ancora l’ingaggio: noi ti portiamo le moto, e tu… divertiti! Davvero un sogno per qualsiasi professionista. Dopo quel libro, in cui tutto sommato mi era stata affidata la narrazione per immagini dell’intera storia di Ducati, eravamo finalmente titolati a scattare tutta la gamma delle moto.
Che rapporto hai con lo staff di Ducati?
Molto stimolante, frenetico, a volte faticoso ma sempre gratificante. In breve: bellissimo. Umanamente, oltre che professionalmente, per la sensazione netta di sentirsi parte di una squadra, composta anche da persone che, come me, dieci anni fa erano entrate in punta di piedi e oggi organizzano shooting e coordinano attività di comunicazione. Possiamo dire di essere cresciuti insieme, vivendo tante avventure che volta per volta ci hanno unito sempre di più. Sento questi aspetti come i più importanti, e credo rappresentino la vera linfa di questo rapporto: sentire la stima reciproca, e una grande comune passione che spero traspaia dalle nostre foto e ci guidi ancora per molti anni a venire.
Chi ti conosce dice che sia proprio questa la tua vera impronta...
A me piace pensare che ogni persona con cui lavoro possa custodire di me un ricordo personale, positivo e particolare, del modo in cui ci siamo incontrati e abbiamo condiviso un'esperienza, o anche solo un semplice istante, insieme. Voglio immaginare che sia questa la mia “impronta”: ho sempre investito nel costruire una connessione solida e sincera con le persone che mi danno fiducia, piuttosto che dedicare tempo ad alimentare una mia immagine pubblica. In poche parole diciamo che sono sempre stato occupato.. a fotografare!
Per la gioia di noi Ducatisti, degli altri grandi brand con cui hai lavorato, delle tante celebrità che hanno voluto fossi proprio tu a ritrarle…
Sì, è vero, ho avuto occasione di fotografare persone molto note, ma ho anche conosciuto la dignità dei piedi scalzi nella terra, nei villaggi indiani lontani da tutto. Mi sono bruciato la gola nelle grandi megalopoli e ho immortalato il quotidiano invisibile di persone ai margini della società, dedicando lo stesso rispetto a qualunque individuo o situazione mi sia entrata nell’obiettivo. Conosciamo troppo poco delle vite altrui per pensare che solo la nostra possa essere degna di interesse. Come fotografi abbiamo la fortuna di poterle raccontare, svolgendo un lavoro così bello, intenso, ma al tempo stesso anche così leggero. Io penso possa bastarci così.