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Scopri di piùIntervista a Filippo Polidori, Febbraio 2019
Arrivi alla Fattoria Polidori e da subito capisci una cosa: questo è un posto in cui vorrai tornare. C’è qualcosa di magico tra le strade abbracciate alle colline del Montefeltro, le curve che chiamano le ginocchia alla piega, il tramonto sopra i tetti di Urbania.
Marchigiano, classe 1972, Filippo per mestiere racconta il cibo “con le mani e con il cuore”. È autore di progetti editoriali ed eventi dedicati al food e segue la comunicazione di aziende vitivinicole di fama mondiale. Ducatista da sempre, è anche l’inventore di “The Taste of Joy”, l’App dedicata allo Scrambler, per tutti gli amanti di Moto & Street Food che vogliono mangiar bene, viaggiando.
Abbiamo seguito Filippo in sella al nuovo XDiavel fino alla sua Fattoria, tra i miracoli della vita all’aperto: un orto generoso, una casa sugli alberi, le criniere dorate di due splendidi cavalli - Quarter Horse americani - che alleva con la moglie Giorgia.
Ma è nel cuore della “stanza della musica” che capiamo chi è il Filippo Polidori motociclista. Qui c’è la traccia della personalità originale di un uomo che in tutto quello che fa mette entusiasmo, bellezza ed energia. Troviamo cimeli di relazioni significative, dalla casacca dello Chef Massimo Bottura a un quadro autografato di Jovanotti e tanti tanti dischi in vinile di quando faceva il DJ alla Disco 2000 di Sassocorvaro. Dischi che vanno dal rap al valzer, dagli INXS a Ornella Vanoni. Come a dire che, in una vita, c’è posto per molte cose diverse tra loro..
E il fil rouge che unisce le passioni di Filippo e i suoi mestieri, è proprio questa parola: jockey, “fantino”. Colui che ama condurre e sentire l’umore della pista (che sia la strada in moto, la terra a cavallo o il dancefloor), e che se mette un “disc” davanti a jockey, ti fa esplodere la festa.
Filippo cosa ti appassionava da bambino, e cosa sognavi di fare?
Io sono nato in una balera, messa in piedi da mio padre, con annesso un ristorante. In tutte le foto da piccolo sono in braccio a lui, oppure in mezzo alla pista. Il mio sogno era fare il DJ, perché era quello che faceva divertire e rilassare la gente, ed era la star della serata. Oggi faccio il lavoro che sognavo da bambino, perché quando sono a tavola o racconto il cibo, sono il DJ che sta celebrando quella cosa lì.
Cos’è per te una tavola condivisa?
Cucinare è un gesto d’amore. Tutte le cose che fai, un'insalata, un vino, una moto, possono essere un gesto d’amore, a seconda di come le fai. Il bello del cibo è che è un piacere quotidiano. Forse non a caso tutte le grandi decisioni della storia, sono state prese attorno a un tavolo.
Parlaci del progetto Rimini Street Food.
Nel 2011 mi è venuto in mente di celebrare lo street food come un settore di eccellenza, quando nessuno aveva intuito le sue potenzialità. Ho preso i grandi Chef, gli ho fatto togliere la casacca, gli ho messo una giacca di pelle e li ho portati in moto a parlare di cibo. Vedessi come si divertivano! Le moto fanno tornare bambini.
Qual è la caratteristica imprescindibile che deve avere una moto per piacerti?
Se ancora oggi ho un Monster primo modello nel garage, è perch è una moto dal fascino senza tempo. Quindi direi anzitutto il fascino.
E i cavalli?
I Quarter Horse sono cavalli nati per lavorare e quindi hanno sangue freddo, non si emozionano e sono sempre pronti, reattivi solo al comando. Hanno una potenza mostruosa, ma io ci vado a passeggio. Esattamente come con la moto: magari non sfrutto tutta la potenza, ma sapere che potrei farlo mi dà l’adrenalina. E grande affidabilità.
In una parola, nel mettere insieme mondi diversi, Chef stellati e vita di strada, moto e cavalli, quello che cerchi è la sintonia?
Esatto. Sintonia è la colonna sonora della vita. É stare bene con gli altri, è convivialità. Infatti io vado in moto quando sono sereno, non per sfogarmi. Sintonia è anche scegliere la bellezza, ogni giorno. Io mi alzo e cerco di piacere a me stesso; se una maglia mi piace, la indosso anche se non piace agli altri. Esco e mi sento diverso, e mi piaccio.
La parola “autenticità” a cosa ti fa pensare?
“Autenticità” è anzitutto riconoscerti ed essere riconosciuto. Non essere confuso per un altro. E anche i piccoli difetti vanno bene, contribuiscono a renderti unico. Io ho sempre avuto un olfatto incredibile, annuso il vinile, i libri, l'amplificatore che quando si surriscalda mi catapulta nella Disco 2000. L'odore del motore caldo in un garage…se lo sento dico: “Qui c’è una Ducati”. La riconosci subito una Ducati quando passa: dall’odore, dal suono della frizione. E anche la moto assorbe l'energia di chi la genera.
Eccellenza e italianità: è un binomio che funziona?
Certo che funziona. Noi siamo il Paese più bello e più buono del mondo, lo dice la storia. Uno che nasce in Italia ha un debito verso l'umanità. Deve restituire, cioè raccontare. L’arte, la bellezza, il cibo, il design. Se ti mostro una Ducati ti dico: “Questa è l’Italia”. Se ti offro un Sassicaia capisci che questa è l’Italia. E i nostri paesaggi? Sono anche quelli nei siti Unesco: pensiamo alla Toscana, alle Langhe. E lì l’“archistar” è il contadino. I contadini sono i Michelangelo del paesaggio italiano.
Chi sono i tuoi maestri?
La mia famiglia mi ha insegnato a stare con i piedi per terra. Mio nonno mi diceva sempre: “Occhio Filippo, i fenomeni stanno bene al circo. Se ti sei comportato bene ci sarà sempre qualcuno che ti darà una mano.” Poi ho avuto la fortuna di incontrare l’inventore della critica gastronomica, Luigi Veronelli, con il quale ho vissuto i 5 anni più intensi della mia vita. È da lui che ho imparato la magia che c’è nel cibo, a portargli rispetto.
É per lui che hai scelto di lavorare con il cibo?
Sì, e anche perché ci sono nato dentro. Una volta detestavo il ristorante perché si lavorava anche alle Feste. Oggi quando torno a casa, anche a Natale, vado lì con mia madre e faccio il cameriere, perché io sono uscito da lì. Magari faccio un evento per un brand importante a Milano un giorno e il giorno dopo vado al mio ristorante a servire ai tavoli. Faccio chilometri e chilometri ogni settimana, per vivere queste due dimensioni, ma va bene così. Questo significa non rinunciare a niente nella vita.
Qual è il tuo motto?
Sul lavoro è “Lavoriamo solo con chi ci piace”. É il pay-off della mia azienda, ed è verissimo. Nella vita penso “Se puoi sognarlo, puoi farlo.” Guarda me. Sognavo una Ducati, quando ero senza un soldo, e ora ne guido una. Vengo da un ristorante di provincia e lavoro con i grandi Chef, chi l’avrebbe mai detto? A mia figlia - che si chiama Allegra, ça va sans dire - dico sempre: “Basta poco per essere felici”.
Tenere i piedi per terra…fare chilometri e chilometri in moto per non rinunciare a nulla…cavalcare tra le colline. La terra in cui vivi è sempre con te. Quali sono i valori che ti ha trasmesso?
Che se sei una persona onesta sei già una bella persona. Non occorre essere qualcuno. Per dire: mio padre era ricchissimo perché non aveva bisogno di quello che non aveva. Non ha mai capito bene che
lavoro facessi, però quando ho iniziato a guidare le Ducati chiamava tutti i suoi amici per fargliele vedere, orgoglioso. Un giorno stavo mostrando lo Scrambler a Massimo Mancini, il più grande pastaio italiano, e il mio babbo gli ha detto “Lo sai perché a quelli della Ducati piace collaborare con Filippo? Perché è uno sincero, è uno onesto”. Voleva dire uno di noi. Il più bel complimento della mia vita.