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Scopri di piùDiversi sono stati i nomi dei piloti che hanno conquistato il cuore dei tifosi e degli appassionati, nella storia di Ducati, ma uno in particolare è universalmente conosciuto come il "beniamino" dei ducatisti moderni: Troy Bayliss.
Troy Bayliss nasce in Australia a Taree il 30 Marzo 1969, e sin da bambino cavalca le prime mini moto girando per i boschi vicino a casa. Inizia ad alimentare le speranze di diventare un pilota professionista a 10 anni, dividendosi fra motocross e dirt track, ma diversi problemi economici che colpiscono la sua famiglia lo costringono ad abbandonare temporaneamente la carriera agonistica e, finiti gli studi, inizia a lavorare come apprendista carrozziere presso l’officina meccanica del paese: da qui il soprannome di “Carrozziere”.
“Ho sempre desiderato fare il pilota. Vado in moto da quando avevo 4 anni: uscivo dalla porta sul retro e mi addentravo nel bush per una decina di miglia. Ero libero. Non appena raggiunta l’età della patente, ho chiesto un prestito e ho comprato una ZXR750 H1 del ’92 mentre mamma e papà erano in vacanza. Ben presto mi sono accorto che facevo cose da pazzi per strada, andavo troppo veloce e se le cose non fossero cambiate, mi sarei ritrovato in galera o addirittura al cimitero. Così ho cominciato a gareggiare e tutto è cambiato ….” Troy Bayliss
Nel 1992, a 23 anni, con l’aiuto dei risparmi suoi e di Kim acquista la sua prima moto da corsa e riesce finalmente a tornare nel mondo dei motori. Si iscrive al campionato australiano 250GP con una Kawasaki KR-1 per passare poi alla classe 600 l’anno successivo quando sposa Kim, l’amore della sua vita.
Ma è nel 1997 che arriva finalmente la possibilità di farsi conoscere quando, a 28 anni, si presenta in sella ad una Suzuki 250 nella gara del Motomondiale a Phillip Island in sostituzione del pilota infortunato del team Molenaar. Parte in seconda fila e tra l’incredulità generale arriva sesto, a un soffio da Max Biaggi e Ralf Waldmann che quella domenica si giocavano il titolo.
Nonostante i risultati, l’età non è dalla sua. Giudicato frettolosamente troppo “vecchio” dal grande circo mediatico del Motomondiale, non riesce a trovare una sella per la stagione seguente. Nel campionato britannico Superbike, però, la data di nascita è irrilevante. Contano le doti e delle sue doti si è accorto Darrell Healey, manager del team Ducati GSE. Darrel lo chiama per correre con la Ducati 916 per la stagione 1998. Darrel diventerà poi il manager di Troy per tutta la sua decennale carriera.
“La prima volta che ho guidato una Ducati è stato in una sessione di prove libere a Silverstone. Avevo appena firmato con il team GSE. L’intera stampa inglese aveva inviato dei fotografi perché ero la nuova promessa e ci si aspettava molto da me. Appena ho mollato la frizione stavo per far cadere la moto proprio lì, davanti alla stampa. Il primo anno è stato difficile, ma alla fine ce l’ho fatta….”. Troy Bayliss
I suoi avversari conoscevano bene le strette e pericolose piste d’oltremanica e ogni gara era una incognita per Troy che impiega un anno per farsi un’idea. Dopo un brillante sesto posto nella stagione d’esordio, vince il titolo britannico della BSBK nel 1999 dopo una finalissima a Donington Park che già fa capire la tenacia e la caparbietà di Troy.
La Ducati, innamorata di questo ragazzo semplice, genuino e velocissimo, gli ofre l’America: comincia così la sua avventura nel Campionato AMA 2000.
Dicembre 1999, primo test a Daytona. Bayliss non aveva mai visto le curve ovali, uscì dai box e si lanciò sul banking come se lo avesse sempre conosciuto. A sera i tecnici della marca italiana si guardarono sbigottiti: “Questo ragazzo è speciale”. Ma Daytona era un tabù per la Ducati e neanche Bayliss riuscì a sfatarlo. Cadde dopo una partenza fulminante e molti giri in testa alla 200 Miglia. Addio sogni di gloria, pensa.
“Alla 200 Miglia di Daytona, nel 2000, otenne una stupefacente pole position e condusse la corsa per la maggior pare del tempo finchè un piccolo guasto tecnico non lo costrinse al ritiro. Ci vedemmo all’Hotel Hilton di Daytona Beach e Troy mi disse:” Scusa Paolo, spero che tu non sia arrabbiato e non sia qui per licenziarmi...” Qualche settimana più tardi chiamammo Troy per sostituire Carl Fogarty prima a Sugo e poi a Monza...” Paolo Ciabatti, Sporing Director Ducati Corse.
Troy torna per qualche giorno a casa e una domenica sera il telefono squillò di nuovo. Era nuovamente Paolo Ciabatti. “Si è fatto male Carl Fogarty a Phillip Island e ci serve un pilota per sostituirlo domenica in Giappone, tu sei già in Australia e non hai impegni. Ti aspettiamo a Sugo”.
Chiude la telefonata e gli manda un biglietto aereo last minute che lo avrebbe condotto in volo per il Sol Levante.
Bayliss chiamò sua moglie Kim, inseparabile compagna d’avventure: bisognava preparare nuovamente le valigie. Troy sa che quella è l’occasione della vita. A Sugo ha la possibilità di salire in sella alla 996 ufficiale, moto che nella stagione precedente ha vinto il titolo con Fogarty. Tanto fu l’entusiasmo che Bayliss arrivato all’aeroporto di Narita si perde! Davide Tardozzi riuscì solo dopo qualche ora a ritrovare Troy per portarlo all’autodromo di Sugo.
Il weekend è una disfatta. Bayliss scatta verso la prima curva, ma la foga della partenza tradisce il centauro australiano, che scivola dopo un contatto con un pilota locale. In gara due, incredibilmente, accade la stessa dinamica, e Bayliss percorre appena 600 metri. Cade quindi in entrambe le manche alla prima curva senza riuscire a concludere nemmeno un giro. Per Troy Sugo ha il sapore di una occasione mancata, di un sogno che sembra essere già svanito.
Per la gara successiva a Donington, il team Ducati Corse, che deve cercare di salvare il campionato dopo l’infortunio di Fogarty, tenta la carta di Luca Cadalora. Luca ha alle spalle una carriera con le due tempi e un indiscutibile talento ma il passaggio a quattro tempi è tutt’altro che semplice. In Inghilterra il modenese colleziona un ritiro ed un 17° posto.
Ducati ritorna sui suoi passi. In fondo a Sugo la sfortuna ci ha messo la sua e nelle qualifiche Troy sembrava a suo agio sulla bicilindrica bolognese. Il telefono di Troy squilla un’altra volta. Dall’altra parte della cornetta c’è di nuovo Paolo Ciabatti. La chiamata è per Monza, il Tempio della Velocità. Seppur scottato dall’esperienza giapponese, e non molto motivato a partire (nel frattempo era tornato negli USA per proseguire nel Campionato AMA con il Team Vance & Hines), Paolo, Davide e sua moglie Kim lo convincono. In fondo la voglia di rivincita è tanta e quella potrebbe essere l’occasione per dimostrare il tuo talento. E’ consapevole di quello che significa correre di nuovo in sella alla Ducati ufficiale e per giunta a Monza, di fronte a centinaia di migliaia di tifosi italiani che riempiono prati e tribune. Tutti con gli occhi puntati sulle rosse.
In qualifica Troy fa il quinto tempo, dietro solo a giganti come Colin Edwards, Troy Corser, Akira Yanagawa e Pierfrancesco Chili. Nella Superpole, Troy è dietro a Texas Tornado (alias Colin Edwards) con meno di un secondo di ritardo e davanti al funambolo Noriyuki Haga sulla Yamaha. In gara 1 Troy manca il podio per un soffio e questo potrebbe anche bastare al suo riscatto. Ma a Troy non basta.
C’è ancora una manche e per Troy non è ancora finita. E’ infatti in gara due che Troy fa quello che nessun umano sarebbe stato in grado di fare e che lo proietta definitivamente nell’olimpo fra i giganti. Al nono giro Troy è quinto, incollato agli scarichi di Haga, a sua volta incollato a Chili. I primi cinque sono tutti vicinissimi, tra Colin Edwards e Troy c’è un battito di ciglio.
Troy arriva alla prima variante a più di 300 km orari, su una traiettoria che gli imporrebbe di attaccarsi ai freni per non andare lungo o peggio ancora fare strike. Ma Bayliss non frena: pinzano tutti ma lui no. Quando tutti hanno ormai alzato la testa, lui è ancora in carena a gas aperto. E’ qui che compie il miracolo, li supera tutti, si piazza al primo posto e solo a quel punto, quando il punto di staccata è orai passato da un pezzo, decide di tirare una pinzata ai limiti della follia.
Un attimo che sembra durare una eternità. Il pubblico trattiene il respiro, il cronista non riesce a far altro che pronunciare in preda al delirio il nome di Troy per quattro volte consecutive. Poi il fragore del pubblico e la storia che si compie.
Alla fine Troy chiude al quarto posto, ma ai box hanno già deciso. E’ lui l’uomo che sostituirà Fogarty per le restanti gare.
“Non vi dirò mai se volevo farlo davvero, oppure se ho semplicemente sbagliato la frenata” Troy Bayliss.
Quello che è vero, però, è che con quel quadruplo sorpasso il Canguro di Taree non si è solo guadagnato l’ingaggio per la stagione successiva. Si è guadagnato un posto speciale nel cuore di tutti i suoi tifosi che, senza saperlo, quel giorno hanno assistito alla nascita di una leggenda.
Siamo nel 2000. Grazie al quadruplo sorpasso a Monza Troy trova dal quel momento in poi un posto speciale nel cuore di tutti i suoi tifosi che, senza saperlo, quel giorno hanno assistito alla nascita di una leggenda.
Ma il bello deve ancora arrivare. E non tarda molto. Nella gara successiva, a Hockenheim, Troy vince la sua prima gara del mondiale SBK e poi, sempre in sella alla 996R, nel 2001 si laurea campione del mondo, salendo sul podio ben 15 volte. A Imola, ultima tappa della stagione, cade e si rompe la clavicola. Ma ha già il titolo in tasca con un round di anticipo e l’unico rammarico è non poterlo festeggiare con i suoi tifosi.
L’anno del Mondiale Superbike che nessuno dimentica è il mitico 2002, teatro della leggendaria sfida tra Troy Bayliss e Colin Edwards. Per ogni appassionato delle derivate di serie, quella stagione rappresenta uno dei momenti più emozionanti dell’intera storia della WSBK.
Troy, in sella alla sua Ducati 998 F02 domina la prima parte del campionato, prima di subire la rimonta da parte di Colin Edward sulla sua Honda VTR 1000 SP-2. Edwards infatti recupera gara dopo gara il distacco che lo separa dal campione del mondo in carica. All’ultima tappa, quella di Imola, si presentano con un solo punto di distacco. Davanti ad un pubblico di oltre 95.000 spettatori, l’ultima gara diventa un duello quasi cavalleresco con sorpassi decisi e spettacolari ad ogni curva e ad ogni staccata della pista del Santerno, tanto che tutti i romagnoli che avevano assistito in TV a questo spettacolo indimenticabile si sono riversati ai cancelli di Imola per gara due.
Colin Edwards vinse il mondiale per soli 11 punti al termine di una stagione veramente adrenalinica. Ma ancora più emozionante fu l’abbraccio fra i due piloti nel dopo gara, quando Edward strinse a sé Troy quasi a consolarlo per la cocente delusione. Texas Tornado era riuscito a piegare la forza del suo più grande rivale, mentre l’ex carrozziere di Taree aveva dimostrato che un vero campione sa essere grande anche nella più bruciante delle sconfitte.
Nonostante il titolo SBK mancato, Troy è fortemente determinato e si lancia per la nuova sfida nel campionato MotoGP. Vuole la famiglia vicino a sé, e decide di prendere casa a Montecarlo, dove già abita il suo nuovo compagno di squadra: Loris Capirossi.
L’anno di esordio nella classe regina lo vede arrivare sesto nella classifica finale e conquistare il titolo di “Rookie dell’anno” grazie a tre splendidi podi in Spagna, Germania e Repubblica Ceca. Ovviamente tutti sperano che sia solo l’inizio di una storia di successo in MotoGP. Ma purtroppo non è così.
Troy ed i suoi tifosi non sanno che in realtà questo è l’inizio di due stagioni (2003 – 2004) dai risultati sempre più deludenti, al punto tale che nel 2005 passa da Ducati alla Honda. La scelta di passare alla Honda nel 2005 non cambia però la situazione e Troy, vittima tra l’altro di un infortunio al polso che lo terrà fuori dalle competizioni per diversi mesi, non riuscirà neanche a terminare il mondiale.
Per la stagione 2006 Troy riprende i contatti con i vecchi amici del team Superbike, Ciabatti e Tardozzi e torna a correre con il team Ducati Xerox sulla 999, moto già campione del mondo nel 2003 e 2004 con Hodgson e Toseland.
Le porte di Borgo Panigale, in verità mai chiuse, si spalancano per Troy. Il centauro australiano ritrova competitività e sorriso con la 999 Factory e vince il suo secondo titolo mondiale con tre gare di anticipo. Il 2006 sarà ricordato anche come l’anno della grande rivincita di Troy.
“Troy non va a Valencia per fare presenza, ma con l’elmetto in testa! ” Davide Tardozzi
È la gara del 29 ottobre 2006.
Troy vince con la Desmosedici sul tracciato spagnolo, e, con Capirossi secondo, la Ducati conquista la sua prima doppietta in MotoGP. Con questa vittoria, Troy è l’unico pilota ad aver vinto nei due campionati lo stesso anno.
Nonostante il successo, Troy comunque non pensa neanche per un momento a restare in MotoGP. Era come se si fosse tolto un peso. L’obiettivo era rivincere il terzo titolo.
Il 2007 fu un altro anno difficile per Troy; la 999, dopo i fasti dell’anno precedente, era destinata ad andare “in pensione”, per l’introduzione nel 2008 della 1098R, che necessitava ancora di sviluppo.
A Donington fa freddo e piove. Troy conosce bene quel clima, ma è difficile prepararsi ad un freddo weekend di corse. Nonostante il tempo, la domenica inizia abbastanza bene e in pochi giri in Gara 1 riesce a prendere un buon vantaggio sugli avversari.
Arrivato alla curva Coppice, una delle più veloci, cade. La mano destra resta incastrata sotto la moto. Quando toglie il guanto il mignolo sinistro è pressoché amputato, e ha subito anche un brutto colpo al ventre. Quando arriva in infermeria, con ancora l’adrenalina in corpo, chiede che gli venga amputato quello che gli resta del mignolo per poter tornare in sella un paio di ore dopo e avere la rivincita sul padrone di casa Toseland. Poi sviene.
Uscito martedì dall’ospedale, Bayliss decide di presentarsi il venerdì al via delle prove libere della gara successiva a Valencia. Eroicamente conquista la SuperPole del sabato e finisce sul podio in gara uno e sesto in gara due facendo innamorare ulteriormente tutti i tifosi della Ducati.
Il 2008 è l’anno dell’addio alle competizioni per Troy, ma non prima di avere saldato i conti con il successo.
Troy porta infatti la 1098R al successo, diventando così l’unico pilota della Ducati ad avere vinto tre titoli con tre modelli differenti (la 996R, la 999 e la 1098R); con undici vittorie, di cui le ultime due nella gara conclusiva a Portimao, con distacchi abissali inflitti agli avversari, Troy chiude la sua incredibile carriera con un totale di 52 vittorie e tre titoli SBK (2001, 2006 2008), secondo solo a Carl Fogarty, e la leggendaria vittoria in MotoGP a Valencia.
A 39 anni lascia il mondo delle gare, consapevole di aver raggiunto traguardi memorabili dal quel lontano 1998, quando con i risparmi suoi e di sua moglie si comprò la prima moto. Ora che ha saldato il suo debito con la moglie, torna a casa per provare a far vivere una vita normale alla sua famiglia.
Appeso il casco al chiodo, Troy ha continuato a fare il tester per Ducati per i nuovi modelli destinati al Mondiale Superbike rimanendo legato alla Casa di Borgo Panigale come brand ambassador mondiale.
Nel 2015, sette anni dopo il ritiro dal campionato mondiale, Troy è chiamato a sostituire l’infortunato Davide Giugliano in sella alla Panigale 1199 V2 del team Aruba-Ducati. Certo, la concorrenza e le moto sono completamente diverse, ma benchè non salga sul podio, Bayliss riesce al conquistare 25 punti nelle gare in Australia e Tailandia.
Dopo gara-2 di Buriram annuncia il suo definitivo ritiro dal mondiale SBK.
Dal 2016 ad oggi è attivo nell’ASBK sempre con Ducati in qualità di co-proprietario del Team DesmoSport Ducati, squadra che ha vinto il titolo nazionale ASBK 2015 con Mike Jones e che quest’anno ha visto il debutto del Oli, il figlio maschio minore, sulla Ducati che è stata del padre.
Troy Bayliss ha dimostrato di essere un vero combattente, uno che sale sulla moto, quale che sia, e vince.
Per qualcuno Troy Bayliss è la Superbike. Per qualcun’altro è la Ducati. Di sicuro la sua storia va ben oltre i tre mondiali nelle derivate di serie con Borgo Panigale. Troy ha vinto molto e lo ha fatto dando tutto sé stesso.
Ha conquistato il cuore di tutti gli appassionati, quelli che ad ogni World Ducati Week arrivano per poterlo vedere almeno una volta da vicino e ai quali non ha mai negato un sorriso e un autografo e quelli che hanno comprato una Ducati per essere un po’ come lui.
“Senza le migliaia di appassionati questo sport non sarebbe arrivato dov’è. Ho sempre dato il 100% alle corse ed i miei tifosi dimostrano di averlo apprezzato …. è stupendo sapere che ovunque vai ci sono persone che ti seguono e sostengono passo dopo passo nella tua carriera.“ Troy Bayliss
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