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Scopri di piùPer le persone comuni nel deserto non c’è nient’altro che sabbia. Ma Max Calderan non è un essere umano come tutti gli altri, e infatti per lui nel deserto c’è tutto. Sportivo estremo ed esploratore, Max è entrato nella leggenda per aver attraversato per primo, in solitaria, i 1.100 km del Rub’ al-Khali, il Quarto Vuoto dell’Arabia Saudita, l’ultima frontiera inesplorata della Terra.
Max, come si concepisce un’impresa come la traversata del Rub’al-Khali?
Con la capacità di sognare. In grande, molto in grande, molto più di quanto poi, alla fine, sarai in grado di fare. Da piccolo io sognavo di andare su Marte, e sono stato ricompensato con l’attraversamento dell’Empty Quarter, un luogo in cui nessuno aveva mai osato avventurarsi.
Tra le imprese di Max precedenti alla traversata dell’Empty Quarter ci sono l’attraversamento per 90 ore consecutive dell’Oman lungo la linea del tropico del Cancro, e le oltre 22 ore di salita e discesa no stop sulla Duna Moreeb degli Emirati Arabi Uniti.
Come hai preparato il tuo fisico a un’impresa così estrema?
Con anni di esperienze fisiche anche molto diverse tra di loro, come scialpinismo, arrampicate, pallavolo e skateboard. E privazioni sempre crescenti. Allenarsi per me significava raggiungere lo sfinimento totale, per portare il mio corpo al limite e ridurre al minimo la dipendenza fisiologica e naturale da cibo, acqua e sonno.
E ci sei riuscito, tanto che oggi sei diventato il “Mahdi”.
Sì, è così che mi chiamano i beduini. Significa “guidato da Dio”, e secondo la fede islamica il Mahdi è il profeta che alla fine dei tempi apparirà dal deserto e salverà il mondo. È un nome di cui sono molto fiero, perché testimonia il legame che ho con queste persone. L’esplorazione non è soltanto un’impresa fisica. È cultura, conoscenza, relazioni sociali. Per esplorare un territorio devi prima parlare con chi ci abita. Sentire le loro storie.
Prima di Max, altri esploratori sono riusciti ad attraversare sezioni più brevi del Rub’al-Khali, su cammelli o veicoli fuoristrada. Max ha completato il suo viaggio a piedi attraverso un percorso inesplorato, che verrà segnato nelle cartine geografiche con il nome di Calderan Line.
Come ti ha cambiato, se ti ha cambiato, l’esplorazione del Rub’al-Khali?
Non mi ha cambiato. È dal 2006, dalla mia prima esplorazione in Qatar, che sono esploratore a tempo pieno. Lo sono nella vita di tutti i giorni, e in particolar modo durante le imprese, quando mi metto in assetto Desert.
E cosa caratterizza il tuo assetto Desert?
L’assetto Desert ruota tutto attorno al concetto di privazione. Bisogna togliere tutto ciò che non è strettamente necessario, spogliarsi di tutte le sovrastrutture. Diventare come animali, soli e in completa simbiosi con la natura e i suoi elementi.
Cosa si prova a essere soli in mezzo al deserto, a centinaia di chilometri di distanza dall’essere umano più vicino?
Nel deserto non c’è nulla se non la sabbia. Il silenzio è totale. Senti solo il tuo cuore battere, il sangue scorrerti nelle vene. È in quel momento che riesci a raccogliere tutta l’energia di cui la natura riesce a omaggiarti. E che è il motivo per cui anche nel deserto non ci si sente mai soli.
Ti stai già organizzando per una nuova esplorazione?
No, con tre figli, di cui uno nato subito dopo il rientro dal Rub’al-Khali, le grandi imprese a cui voglio dedicarmi sono solo quelle familiari. Sto però sviluppando diverse attività di formazione e divulgazione per i più piccoli. Voglio dare loro la possibilità di ristabilire un sano rapporto con la natura, e usare la scienza e la tecnologia per ampliare i nostri orizzonti e darci nuove, infinite possibilità.
Ultima domanda: di tutte le terre estreme, perché proprio il deserto?
Perché è quello più inesplorato, sia geograficamente che culturalmente. Non ho mai voluto seguire le tracce di nessuno. Semmai voglio che siano gli altri a seguire le mie.
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